mercoledì 24 marzo 2010

Acquacoltura. L'affaire Montesi


Nei comizi di questi giorni risentiamo i tribuni di Primavera Andreolese dissertare, con la consueta onestà intellettuale, di acquacoltura.
Facciamo un passo indietro, per impedire, come al solito, che sia consegnata alla memoria solo una parte della "storia", quella gradita a lor signori.

Rispetto alla questione acquacoltura, l'ultimo ricordo  consentito dall'agiografia ufficiale risale al 1997, e contempla Pino Stillo e Pino Commodari mentre strepitano contro l'acquacoltura, citando De Gregori, in piazza e dalle pagine del Foglio di Militanza Comunista (cfr. FMC 25.05.97 pagg. 4/5). 
Eppure, costoro non sono esattamente gli ultimi arrivati, il "rinnovamento che avanza": la loro carriera di amministratori, al lavoro per il nostro bene, inizia ventidue anni or sono, con la lista della "Tromba". Eletti con quella lista, nel maggio 1988 (sindaco Samà), saranno vicesindaco il primo (fino alla cacciata, per lotta intestina), e assessore alle finanze (cioè al dissesto) il secondo.
Ma cosa c'era scritto, nel programma della "Tromba", a pag. 5, nel 1988? Ecco il riquadro originale:


"Riteniamo di grande utilità l'attuazione dell'impianto di acquacoltura prevista nel PRG...risposta concreta ai problemi dell'occupazione...S.Andrea punto di riferimento..." ecc.
Bisognava dunque fare l'acquacoltura, non verso Alaca come poi è stata fatta, ma direttamente al Vallone di Bruno, e non per opera di una cooperativa.
Chi era, allora, il benefattore che aveva proposto al Comune, perché fosse incardinato nel P.R.G., un progetto così convincente da essere considerato "risposta concreta ai problemi dell'occupazione", e come tale recepito nel programma della Tromba per le nuove elezioni del 1988? Ecco l'organigramma, preso dalle carte mandate allora al Comune:


Ed ecco la promessa, il pronostico, la buona novella: 29 assunzioni a tempo indeterminato, e 23.000 giornate annue a tempo determinato:


Se molte suggestioni di questo disegno suonano familiari, e ricordano da vicino il protocollo d'intesa e il correlato progetto preventivo di oasi naturalistica siglato tra Amministrazione comunale e Legambiente nell' aprile 2007 ("...Oltre che dalla famiglia Montesi, proprietaria della superficie interessata dal progetto di istituzione di area naturalistica, l’idea è sostenuta dall’amministrazione comunale di S. Andrea Apostolo dello Jonio, Legambiente ed Aiab [...] le ricadute occupazionali potranno essere comunque significative, in particolare si prevede l’impiego di guide storico-naturalistiche...corsi di formazione professionale...possibile costituzione di una Cooperativa..." eccetera eccetera) è perchè i protagonisti sono sempre loro: certi "amministratori", ieri trombettisti oggi primaveristi, da una parte, e la famiglia Lucifero/Montesi dall'altra. In un intreccio ormai antico, che agli andreolesi è costato caro, come sa bene chi si ricorda del cavalcavia realizzato al Vallone di Bruno al posto del sottopasso Cupito (per il quale le Ferrovie chiesero i danni al Comune), del capannone della “Sentinella” dei Lucifero, e del disastro (accettato senza battere ciglio) del taglio di migliaia di ulivi secolari ad “Unusa” e a “Taverna”. Un intreccio infine, e questo è solo uno dei paradossi, fattosi assai stretto, come si vede dalle carte, proprio nel periodo in cui si stavano arbitrariamente occupando i famosi 113 mila mq di terreno, quando fare tempestivamente il proprio dovere di amministratori, invece di ammiccare a questi disegni, avrebbe forse reso inutile la farisaica chiamata a un sit-in di protesta in costume da bagno vent'anni dopo.

Noticina finale: come faccio io ad avere queste carte? Risposta: le ho perché me le diedero loro, chiedendomi di parlarne alla Festa dell'Unità, in Marina, il 13 agosto 1988. Moderava il dibattito Cesare Ranieri. C'erano seduti accanto a me Vittoria D'Alò, Sergio Genco, Mimmo Frustagli, il sindaco Samà.  Credevano che avrei esclamato, assieme a loro, "Viva Montesi"! Invece dissi che restava "aperta la questione del latifondo, legato alla nostra storia come un tacco di oppressione e sfruttamento sul collo della nostra gente", e che "non potevamo dimenticare".
Don Primo Mazzolari ha scritto che chi non è rivoluzionario a vent'anni è senza cuore, ma, dopo i trenta, si rischia di essere senza testa. Io nel 1988 avevo ventidue anni, e, forse, un grande cuore. Però non mi hanno abbindolato. Neanche allora.