sabato 21 giugno 2003

documenti: Rilanciare Civitas


RILANCIARE CIVITAS. MOZIONE PER L’ASSEMBLEA ANNUALE DEGLI ISCRITTI
21 giugno 2003

Civitas si è ufficialmente costituita il 14 gennaio del 2001, e si è presentata al pubblico qualche giorno dopo (esattamente il 27 gennaio), attraverso un manifesto, come nata per “realizzare un progetto e un impegno elettorale delle elezioni amministrative dell’anno scorso”. L’Associazione – proseguiva quel manifesto – “si propone di dare voce a quel vasto movimento di cittadini che si sono riconosciuti e si riconoscono nel programma e nella linea politica dell’omonima lista che ha partecipato alla competizione elettorale del 16 Aprile 2000, assicurandone la partecipazione alla vita politica, sociale, culturale ed amministrativa del Comune. Si tratta, pertanto, di un movimento civico d’opinione che si ispira ad una visione laica della politica. L’Associazione, libera ed indipendente dai partiti politici, si prefigge di perseguire i seguenti scopi: rafforzare la dignità dei cittadini e favorire il processo di partecipazione all'attività delle Istituzioni democratiche e della pubblica Amministrazione; garantire a quanti hanno difficoltà a far sentire la propria voce, la possibilità di esprimere liberamente le loro opinioni, di scegliere liberamente la propria strada, di far valere i propri diritti; promuovere una cultura della laicità della politica e della libertà del consenso, dell’affermazione del diritto, del rifiuto delle logiche del privilegio e del pregiudizio; favorire l’incontro fra persone di diversa estrazione politica, culturale e sociale, il confronto fra le diverse esperienze culturali ed umane, l’assunzione di responsabilità politica per il raggiungimento del bene comune; intraprendere tutte quelle iniziative atte a migliorare le condizioni del vivere civile, sociale, culturale e politico della comunità; supportare l’azione politica ed amministrativa dell’omonimo Gruppo consiliare al comune di Sant’Andrea Apostolo dello Jonio”.

Sulla base di tutto questo chiedevamo ai cittadini interessati di aderire per “concorrere in prima persona alla definizione di un concreto percorso di crescita della nostra comunità”.

Tutti questi concetti, poi confluiti nel nostro Statuto, sono stati ampiamente e ripetutamente discussi. Già in una lettera inviata per “concordare e formalizzare la costituzione del movimento” (riunione tenutasi il 12 novembre del 2000) scrivevamo: “le elezioni del 16 Aprile rappresentavano una sorta di ’esame di maturità’ che purtroppo la nostra comunità non ha voluto superare. Un’occasione forse irripetibile di dimostrare che si può scegliere valutando i fatti, al di là delle etichette, delle ideologie e delle pretese di obbedienza. Oggi il gruppo che ha vinto quelle elezioni chiede una delega totale e in bianco, accetta solo i consensi, pretende una fiducia cieca e silenziosa. Il nostro impegno a difesa di una differente idea della politica locale, come incontro di persone diverse, come collaborazione gratuita alla soluzione dei problemi comuni, come possibilità per tutti di accedere alle informazioni e di scegliere liberamente, non deve esaurirsi con il 16 Aprile e gravare, per il futuro, solo sulle spalle dei quattro che occupano in Consiglio i posti della minoranza. E’ più che mai necessario continuare ad incontrarsi, discutere i problemi comuni, esercitare insieme quei diritti di controllo e di informazione caratteristici di una cittadinanza attiva e non lontana e ignara, a parte il mese delle elezioni, delle vere questioni che si affrontano in municipio…Civitas deve continuare ad essere una presenza con cui doversi confrontare, un soggetto plurale che offre un’opportunità di democrazia e di partecipazione. Sant’Andrea ha bisogno di una presenza di questo genere…”.

In oltre due anni Civitas ha rappresentato un’esperienza esaltante per Sant’Andrea. Dalle elezioni amministrative del 2000 in poi questo gruppo ha prodotto una quantità di informazione che, per ampiezza e qualità, non si era mai vista prima nel nostro paese. Civitas è nata, ed è cresciuta, sulla base di un’intuizione fondamentale: il movimento civico quale via privilegiata per affrontare i problemi concreti di questo paese, che consente la solidarietà e la collaborazione di soggetti che leggono la nostra realtà locale sulla base di comuni valori essenziali, a prescindere dalla differente appartenenza rispetto agli schieramenti nazionali, la rinuncia all’inganno prodotto dall’ostinazione di dover interpretare le peculiarità del nostro quotidiano attraverso occhiali ideologici, delegando ai partiti, o ai loro dirigenti più scaltri, il compito di stabilire regole e priorità, il rifiuto di ogni logica del privilegio e del pregiudizio e la necessità di sostituirli con la logica della cittadinanza. Civitas ha saputo produrre un ritorno di affezione e di simpatia per la politica come incontro e confronto di persone diverse, ha saputo privilegiare substrati comuni sepolti sotto decenni di incrostazioni generalizzanti, ha esercitato una capillare azione educativa, ha evidenziato l’urgenza, irrinunciabile e vitale, di riportare la politica locale a un livello di comprensione generale, e di non lasciarla rimanere oltre prerogativa di pochi eletti e quasi nessun elettore. E che questa fosse un’intuizione fondamentale basta a dimostrarlo il fatto che noi abbiamo raccolto circa 700 voti alle ultime amministrative, soli contro tutti i poteri forti del paese, senza essere andati nelle case, senza promettere niente e senza minacciare o lusingare nessuno. Lo dimostra anche il fatto che tanti cittadini si sono spontaneamente accostati, tanto da farci raggiungere, in breve tempo, quota 100 iscritti.

Con la precedente amministrazione avevamo vissuto, con tutti i limiti che ognuno di noi può legittimamente rilevare, una stagione di promettenti novità. Un nostro primo tentativo di “stagione dei sindaci”, che si rivolgeva ai cittadini in quanto tali, che ha ricercato e difeso sempre più spazi di autonomia, ed ha frenato l’arroganza dei partiti. Forse anche (se non soprattutto) per questo, perché il consolidamento e il successo di questo esperimento avrebbe significato la rovina definitiva di un sistema di scambi e di calcoli consacrato da 50 anni, che partiti vecchi e nuovi si sono organizzati per rioccupare le posizioni provvisoriamente e furbescamente abbandonate. Gli apparati e i poteri forti, necessitati a gestire la politica, e la rappresentanza, come cosa loro, molto privata, molto esclusiva, hanno sentito l’urgenza di affossare quell’esperienza, quell’affezione passeggera, di distruggerla, subito dopo averla sfruttata, prima che diventasse stabile, prima che toccasse davvero il sancta sanctorum. Quell’esperienza, così come l’esistenza di Civitas che ha generato, era ed è pericolosissima e intollerabile per tutti quelli che vedono nella politica solo un collettore di ambizioni e obiettivi personali. I notabili dei vari partiti, di destra e di sinistra, i difensori di qualche vecchio privilegio, tecnici, costruttori, preti militanti, poche decine di addetti ai lavori opportunisti e trasformisti. In una parola tutti quelli che hanno interesse a continuare con una politica politicante fatta di scambi, che hanno bisogno di operare in tranquillità all’ombra di una massa di militanti allineati coperti e consenzienti. Per il resto, nessuno deve osare organizzarsi in modo nuovo, tentare strade diverse. È molto netta la linea di confine oltre la quale ogni novità diventa sovversiva ed illecita. La democrazia deve essere solo predicata e rappresentata come a teatro, ma non serve davvero al popolo di Sant’Andrea, che si accontenta della propaganda e della demagogia.

E ogni persona di buonsenso ha potuto rendersi conto di qual’è stata la logica, e la prassi, di questa maggioranza negli ultimi tre anni: il sistematico rovesciamento tra procedure effettivamente praticate e valori proclamati a parole, la regolare, spudorata e compiaciuta, manipolazione della verità dei fatti, il ricorso allo slogan, alle affermazioni indimostrabili e false, che chiamano i militanti a un’adesione preconcetta e fideistica (secondo la nota tecnica dello spot, per cui il “compratore”, inseguito e bombardato dal messaggio, finisce per convincersi davvero che gli stanno vendendo merce di sicura qualità), un pluralismo di facciata utilizzato come velo per coprire l’indecenza di un vero e proprio strapotere della maggioranza, con margini di dibattito sempre più ridotti e margini di manovra sempre più esigui per le opposizioni, che non hanno avuto voce in capitolo nemmeno per quelle cose che sembravano oggettivamente essere di tutti (convenzioni, commissioni, lavori post alluvione, regolamenti ecc.), il continuo trattare da “disturbatori della quiete pubblica” coloro che volevano far ripartire la discussione su un qualsiasi argomento, l’uso della carica istituzionale per gettare schizzi di fango e sospetti sugli avversari politici, l’utilizzo del peso del proprio ruolo per minacciare e intimidire chi mostrava di volersi avvicinare al dissenso, un linguaggio ufficiale vergognosamente allusivo e violento, la delibera n.56 del 16 maggio 2002, con allegato avvertimento che sarebbe stato “riservato lo stesso trattamento” a chi avesse osato manifestarsi d’accordo con il giornalista colpito, numerose minacce di querela, vigili e carabinieri mandati in pieno giorno a fotografare le nostre bacheche, convocazioni in caserma, consigli comunali imboscata, una serie infinita di discriminazioni, di diffide e di pressioni, che sarebbe troppo lungo elencare adesso ma che ognuno di noi conosce bene. Questa maggioranza ha preteso l’impunità per sé ed il bavaglio per i rappresentanti dell’opposizione. Ha offerto uno spettacolo volgare e sovversivo della legalità. Si è tenacemente mossa con una logica populista e arrogante da piccolo regime autoritario di paese, intollerante verso ogni forma di dissenso e teso a perseguire gli interessi di una ristretta cerchia di intimi…”dispotismo di pochi intimi”, tanto per parlare con le loro parole! Il vero problema di quest’amministrazione non è stato fare un volo di fantasia per i problemi degli andreolesi, ma quello di difendere se stessa dal poter essere infastidita.

A questo stato di cose hanno contribuito ancora due fattori: l’alibi del consenso popolare, difficile da smascherare proprio perché in troppi non sembrano ancora disposti a cogliere l’inganno di una falsa democrazia, mentre la legittimità formale non è di per sé sinonimo di legittimità sostanziale, ed il successo elettorale non può costituire occasione per una resa dei conti con le istituzioni e le componenti non omogenei agli interessi degli “eletti dal popolo”, e l’atteggiamento tenuto dalla chiesa locale, che non è disposta a operare come una realtà autonoma, diversa, spirituale, estranea alle contese, ma ritiene, anzi pretende, di essere un soggetto politico tra gli altri, ancora in regime di cristianità. E quindi tratta, scambia voti, conclude accordi, percepisce contributi, organizza manifestazioni e ammonisce, decide come una forza sociale, come un potere tra gli altri, strumentalizza e si lascia strumentalizzare, al pari delle altre realtà locali, associative, dello sport, del volontariato, della cultura, tutte uscite dall’ibernazione per prodigarsi ad offrire, in cambio di sussidio e di benevolenza, presunti, e spesso discutibili, risultati da esibire nel palmares di un’amministrazione altrimenti fallimentare.

Questa è la realtà concreta nella quale siamo inseriti. Questo è il quadro, desolante ma purtroppo realistico, delle condizioni dalle quali siamo chiamati, volendo, a ripartire: un paese ancora in attesa di costruire l’alfabeto della democrazia, di dare il giusto orizzonte a due tre parole-chiave che aspettano di essere tramutate in fatti. Un paese arretrato, dove non si intravedono ancora acquisizioni e valori fondamentali di civiltà che per altri risalgono al XIII secolo. Non dire queste cose significherebbe commettere un doppio errore, perché non si descriverebbe la realtà per quello che effettivamente è, e si darebbe l’impressione che sia inevitabile aver paura. Assolvere o difendere questa maggioranza, principale responsabile di tanta oscurità, equivale a veder volare gli asini.

Dinanzi a questo disastro, a tanta spudoratezza morale e politica, a un deficit di civiltà così allarmante, o si aspetta semplicemente di poter prendere il posto degli attuali oligarchi per riproporre, sotto una sigla diversa, le stesse identiche logiche, o si fa finta di non vedere e di non sentire, perché si sa di non aver la forza necessaria a fermare certe decisioni e si esclude a priori di poterle almeno denunziare e condannare per quello che sono, oppure si accetta l’unico atteggiamento possibile. Che è quello di chi non intende rinunciare all’onestà intellettuale e alla dignità. Continueremo ad assistere a questa deriva senza poter intervenire, ma la denunziamo almeno per quello che è. E non è poco. Ogni giorno di impegno può significare una persona in più che prende coscienza. Più un paese è obiettivamente e compiutamente informato, più cresce la sua capacità critica, la capacità di compiere scelte meditate e consapevoli. Questo è l’unico orizzonte strategico credibile, in una situazione dolorosa che non ammette tatticismi. Certo, non è solo l’opposizione che deve difendere la libertà dei cittadini. Bisogna chiedersi anche cosa i cittadini sono disposti a fare per difendere la propria libertà. Se intendono domandare a quelli che hanno eletto perché, quando chiesero il voto tre anni fa, non parlarono di queste loro intenzioni ma promisero pensioni, lavoro, meno tasse, case popolari, agevolazioni urbanistiche ecc. Ma se noi davvero pensassimo che l’informazione verso la gente per bene non serve a nulla, e di aver già fatto tutto quello che è nelle nostre possibilità di fare, dovremmo coerentemente smettere con ogni impegno politico, anche con quello che molti di noi svolgono nel proprio partito di appartenenza.

Proprio per questo motivo, il bilancio di questi tre anni (e quindi anche il bilancio di questo Direttivo) non è tutto positivo. Bisogna anche dire che molti degli entusiasmi iniziali si sono smorzati, e anche gran parte della carica ideale degli esordi è andata perduta, come se avessimo bisogno della competizione elettorale per sentire entusiasmo. E questo è un tragico errore, proprio nel momento in cui sempre più diffusi si fanno i malumori e sempre più chiaramente appare la voracità, la protervia e la mancanza di cultura democratica dei nostri amministratori. Sempre meno gente si riconosce in questa maggioranza dei miracoli mancati, e constata ormai che promesse elettorali, feste di piazza, processioni, celebrazioni, cori polifonici, conclavi e assemblee, non fanno una politica di sviluppo, di lavoro, di infrastrutture, di crescita per la nostra piccola comunità. Tutt’al più fanno gli interessi di un gruppo di potere, che non è in grado di dare qualcosa ai cittadini. Non diciamo sviluppo, ma almeno idee dignitose da discutere.

Da questo punto di vista c’è una forte differenza tra l’attività svolta da noi subito dopo le elezioni, e nel primo anno di vita dell’Associazione (2000-2001), e quanto prodotto nel 2002. Se nei primi mesi Civitas ha egregiamente svolto il compito per il quale è nata, raggiungendo quota cento iscritti, e suscitando le ire dei padroni del vapore, nel corso del 2002 la sua attività si è quasi congelata. Progressivamente e lentamente si è creato un processo di “prolocizzazione”. Le iniziative culturali, egregie e apprezzabili quando sono un'attività di contorno (come la manifestazione estiva con Marziale Mirarchi, con la quale abbiamo dimostrato che si possono mettere in piedi eventi culturali di alto profilo e di concreto interesse locale a costo zero), meno quando diventano alibi per non disturbare più di tanto il “manovratore” o si riducono al dovere di applaudire o presenziare a qualsiasi cosa, confondendo la gente, sono diventate l’unica ossessione. L’informazione sui disastri combinati dai nostri amministratori, parte qualificante del primo periodo, è stata quasi completamente lasciata al Gruppo Consiliare. Civitas ha quasi avuto paura di qualificarsi e presentarsi per quello che è – un movimento civico che si occupa di politica locale – ed è stata presa dall’assillo di apparire solo un’associazione. Ci siamo ritrovati a discutere di chi doveva firmare i documenti, qualche volta abbiamo preso posizioni non coerenti tra gruppo e movimento, abbiamo cominciato a fare calcoli di opportunità o preso posizioni non chiare con il pretesto che fossero “provocatorie”. Abbiamo taciuto su questioni importanti, venendo meno all’impegno, che dovrebbe essere sacro, preso con i nostri elettori il giorno dell’insediamento. E’ venuto meno anche il metodo, perché un conto è accettare – dopo adeguata discussione e dopo aver liberamente votato – le decisioni della maggioranza, un conto è se il Presidente intrattiene, su questioni importanti, singoli colloqui bilaterali, addolcendo o inasprendo la pillola a seconda dell’interlocutore. Così nessuna riunione di direttivo, o dell’assemblea, ha deliberato a maggioranza che bisognava tacere sulla grandiosa ingiustizia del campanile. Nessuna riunione del direttivo o dell’assemblea ha sancito la strategia del silenzio rispetto allo scempio dell’utilizzo dei fondi post-alluvione. Nessuna riunione del direttivo o dell’assemblea ha decretato che non bisognava fare la festa di piazza nel 2002. Nessuna riunione di direttivo o dell’assemblea ha deciso a maggioranza, dopo esauriente discussione, che si dovrebbe offrire, nell’eventualità di una manifestazione con Gianni Amelio, la possibilità del patrocinio a questa amministrazione, facendole così un clamoroso e inspiegabile regalo che confonderebbe la gente, e contribuendo a consolidare la perniciosa sensazione che tutti i salmi (delle questioni coraggiosamente sollevate) finiscono in gloria (nella marmellata cosiddetta “culturale”). Nessuna riunione di direttivo o di assemblea ha stabilito che Ciccio Cosentino (come qualsiasi altro di noi) quale ex sindaco e attuale capogruppo di minoranza, preso di petto continuamente e direttamente con una strategia criminale, debba in definitiva difendersi da solo, semplicemente perché una solidarietà troppo aperta toglie, a chi può dialogare con Civitas “solo a certe condizioni”, spazio opportunità e speranza.

Così ridotta, prolocizzata, surgelata, privata della propria carica di dirompente novità, Civitas non serve. Sono più che sufficienti, anche per la politica locale, i vecchi partiti, di destra o di sinistra che siano, quelli storicamente presenti a Sant’Andrea o quelli apparsi di recente nel nostro panorama. Ai quali non possiamo, né adesso né in futuro, permettere di accostarsi alla nostra forza dettando condizioni, e rispetto ai quali abbiamo tutto il diritto di fare apertamente politica, come avevano il diritto di farla tutti quei movimenti che gli attuali reggitori del Comune hanno avuto in passato la necessità e la possibilità di creare. L’acqua per far crescere la buona pianta di Civitas, una politica che deve coinvolgere sempre più persone, non deve perdersi nelle aride astrazioni dei suoi dirigenti. Il rinnovamento deve muoversi dal basso, conoscere la gente, ascoltarla e imparare, leggere i moti profondi e nascosti di una società e non certificare l’esistente. Il silenzio e il congelamento di Civitas non hanno, inoltre, nulla a che fare con la “pace” o con la ricerca di “toni più sereni”, perché questi ultimi due valori o sono fondati sulla giustizia o non sono. E’ scontato da almeno quarant’anni, dalla Pacem in Terris, di cui ricorre questo anno l’anniversario, in poi. Lo ripete continuamente l’attuale Pontefice che, almeno fino ad oggi, non risulta essere tra gli iscritti più estremisti di Civitas. Chi invoca la “pace” per essere libero di fare i propri comodi non è veramente un uomo di pace, e sono ben altri i suoi valori e i suoi obiettivi. E’ opera meritoria contribuire a smascherarlo e neutralizzarne la speculazione. Solo con un avversario che si comportasse con un minimo di decenza sarebbe immaginabile un confronto su alcune questioni chiave. Oggi, con questa maggioranza, collaborando l’opposizione chiuderebbe in perdita la partita, non tanto la sua, ma quella della nostra ancora mai realizzata democrazia. Che fare? I notai? I tartufi che guardano passare le carte e si fermano a calcolare se, in relazione alle logiche di sempre, parlare può essere più o meno vantaggioso? I servi sciocchi e senza schiena dritta che servono a ogni regime?

L’esperienza di Civitas è dunque finita, o destinata a finire? Pensiamo di no, e vogliamo fare una serie di proposte concrete per rilanciare:

1. Il ritorno ad una piena fedeltà allo statuto, che comporta la consapevolezza dell’esperienza da cui siamo nati e l’orgoglio di presentarci come “movimento” politico con i fini che ci siamo dati al momento della fondazione e che abbiamo perseguito nel primo periodo;

2. La fine di ogni fittizia distinzione tra movimento e gruppo consiliare, in una fusione che sia rispettosa dell’autonomia dei consiglieri ma che ci consenta di esercitare insieme e con più forza quei diritti che in passato hanno esercitato movimenti come Governo Comune e similari;

3. Un direttivo composto da persone chiaramente impegnate sulla linea dello statuto, che si riunisca più regolarmente, che sia l’unica sede, oltre all’assemblea, in cui prendere decisioni, allargato almeno a nove membri, nel quale i nostri consiglieri comunali siano presenti di diritto;

4. Una maggiore attenzione formale alle procedure, garanzia di democrazia interna, con discussioni seguite da votazioni, anche con la possibilità di verbalizzare sinteticamente le sedute;

5. Uscita di Parrasuni con regolarità almeno quadrimestrale, ma con la possibilità di prevedere oltre ai redazionali, articoli firmati dai singoli, che sono una garanzia di pluralismo e risolvono il problema di un eccesso di mediazione e di un’estenuante concertazione che alla fine lascia tutti insoddisfatti;

6. Deleghe sempre più ampie, e una più netta divisione dei compiti, tra chi sente l’esigenza di un più forte impegno politico e chi intende occuparsi di aspetti socio-culturali.

Il nostro piccolo patrimonio ideale, la straordinaria intuizione iniziale, la splendida novità delle nostre piccole azioni, che hanno fatto grande e forte un movimento sul quale molti ironizzavano all’inizio e che hanno cominciato a temere subito, non può andare sciupato. Noi abbiamo l’obbligo di riaffermare questo tesoro, di raccontare questa ricerca. Resta la sfida di continuare a rappresentare queste ragioni e queste fatiche, senza cedere alla sopraffazione e alla prepotenza di pochi, di una parte che può continuare ad abusare del potere solo se l’opinione pubblica non viene correttamente informata. Serve ancora un piccolo sforzo di fantasia e di creatività, necessarie per riannodare più strettamente il popolo di coloro che sono consapevoli con quelli che non ricevono informazione alternativa a quella distribuita dalle solite fonti. Sono possibili, anche da noi, ulteriori aperture al nuovo. In futuro ci aspetta un alto tasso di politicità che richiede risposte collettive diverse da quelle praticate finora. Si tratta di essere disponibili a cambiare e a cambiarsi, di avere il coraggio di mettere in discussione anche certezze che sembrano consacrate dalla più rigida tradizione. Si tratta di non accettare più passivamente determinate cose, senza per questo pretendere di vederle cambiare in un giorno, ma lavorandoci dentro, sporcandosi le mani e rimboccandosi le maniche, diversamente i valori più importanti sono ridotti a omelia di parte. La falsa convinzione che l’opinione pubblica sia incapace di ogni responsabilità e capacità di reazione è un’altra negazione della democrazia. Può veramente crederci solo chi appartiene a una casta che pretende di avere le mani libere “per il nostro bene”. Servono piccoli gesti di obiezione di coscienza, di protesta nonviolenta. Dobbiamo coinvolgere sempre più persone nell’elaborazione di idee e di programmi. Il nostro limite non è aver fatto troppa politica ma averne fatto ancora troppo poca. Dobbiamo concretamente decidere che fare e dove ci collochiamo, e deciderlo adesso tutti in assemblea, senza comitati ristretti. Il nostro obiettivo non può essere lasciare le cose come stanno e cercare semplicemente di tornare al governo del paese: la nostra meta deve essere un progetto per il paese. C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare. Questo, per Sant’Andrea, è il tempo di parlare. Diversamente la rottura sarà la logica conclusione di un dissenso politico, e tutto questo patrimonio sarà disperso. L’evoluzione storica di Civitas non avrà rispettato quanto era nelle sue splendide premesse, e la politica a Sant’Andrea tornerà ad essere quello che è sempre stata, argomento di chiacchiera o di obbedienza per i molti, e opportunità di fruttuoso scambio per pochi, quello che vogliono che continui ad essere proprio coloro che hanno deciso di travolgere l’esperienza dell’amministrazione precedente o, dall’altra parte, ci chiedono adesso di non sembrare, a quell’esperienza, troppo vicini.
Pasquale Cosentino